Gaddo, un atelier storico: radici profonde, ma evoluzione costante

Da quarant’anni ormai l’atelier Anna Gaddo rappresenta un punto fermo nei preparativi delle giovani spose. Trentine, ma non solo.

Era il 1958 quando l’attività, oggi gestita da Cristina Gaddo, ha aperto in via per l’Osservatorio, tra Trento e San Donà, in un luogo che può sembrare nascosto ma che, in realtà, ciò che realmente nasconde è un capolavoro dopo l’altro. Una “piccola casa che negli anni è cresciuta tantissimo”, l’ha definita Cristina, e che in questa sua crescita si è evoluta, è cambiata, rinnovandosi con il passare del tempo ma senza mai perdere lo spirito dell’atelier di alto livello, quel luogo in cui i sogni possono diventare realtà.

E nonostante la scomparsa della madre Anna, punto di riferimento per Cristina e per tutto il mondo del wedding trentino, l’attività ha saputo risorgere in modo forte e determinato, arrivando oggi a tagliare altri importantissimi traguardi. Come ad esempio quello di vestire la campionessa italiana di sci Isolde Kostner.

 

L’intervista a Cristina Gaddo: “Radici profonde, ma siamo in continua evoluzione”

La titolare, Cristina, ha voluto raccontarci la storia della sua attività, concedendoci un’intervista per toccare i punti più importanti non solo dei propri quarant’anni di lavoro, ma anche della storia di un atelier che ormai, da 64 anni, rappresenta un’icona del settore in Trentino e in Italia.

 

Cristina, il tuo è un mondo che cambia costantemente, ma che in fondo rimane sempre ancorato alle proprie radici

Certamente. Se pensiamo al negozio, che ogni stagione si anima di colori e vestiti nuovi, è evidente come l’evoluzione e il cambiamento siano repentini, inevitabili. Ma la nostra storia ha quella radicalità che non si trova in molte attività al giorno d’oggi. Vero è che, nel momento in cui è venuta a mancare mia madre, abbiamo passato un grande momento di sconforto. Non nascondo che abbiamo pensato anche che saremmo stati costretti a chiudere…

Parliamo del rapporto con tua mamma, Anna: un legame fortissimo, giusto?

Sì, e devo ammettere che se sono riuscita a superarne la perdita lo devo in grande parte alla mia famiglia. Quando nel 2016 lei ci ha lasciati, il dolore è stato grande. Ma tutti insieme siamo prima di tutto rimasti uniti e poi siamo ripartiti: abbiamo rivoluzionato questa casa, soprattutto per quanto riguarda alcune sue destinazioni d’uso. Pur mantenendo una parte uguale a prima, dall’altra abbiamo creato uno studentato e dunque, di fatto, aperto un’altra azienda.

Rispetto a ciò che fai invece, se dovessi identificarti in uno stile, quale sarebbe?

Quello di una donna libera di vestirsi con ciò che ama. Coloro che scelgono il mio marchio si identificano nell’eleganza e nello stile della maison ed io voglio renderle così belle da far sì che l’abito scivoli loro addosso, curando ogni dettaglio. Le sete, le fantasie, i colori: il mio stile è quello di una donna gioiosa e fiera di indossare quell’abito.

 

Il tuo lavoro immagino dia grandi soddisfazioni…

Certamente: anche quando abbiamo rinnovato l’azienda, ripartendo da capo con la mancanza di un vero leader, mi sono rimessa in gioco in prima persona. Ora, quando i clienti vengono a trovarmi, sono fiera di poter far vedere loro un’attività rinnovata, ma che si ritrova sempre in uno stile tradizionale e storico. Sì, le gioie e le soddisfazioni sono state molte e lo saranno anche in futuro. Poi se penso a quanto fatto insieme a celebrità come Isolde Kostner, sono ancora più felice: mi ha cercato lei, si ricordava di alcuni abiti visti più di dieci anni fa durante una sfilata ad Ortisei. Sapere che mi ha voluto fortemente dopo anni, per me è stata una cosa stupenda.

tuttavia la crisi non ha risparmiato nemmeno il tuo settore

Sono consigliera nazionale di categoria e purtroppo so che periodo abbiamo attraversato. Ma di contro, ho notato che moltissimi colleghi hanno cambiato il loro business, aprendo un qualcosa di “parallelo”. Mi spiego: io stessa ho ribaltato la mia azienda per trovare nuove strategie, stoppando il lato pratico e concentrandomi invece su quello, per così dire, “teorico”, di studio. Il pensiero era “Prima o poi usciremo da questa situazione e allora mi farò trovare pronta”. Abbiamo quindi avviato partnership con alcuni designer, fatto le cosiddette contaminazioni di moda, capendo come utilizzare abiti particolari anche in altre occasioni meno formali. Insomma, ci siamo reinventati, per superare il periodo difficile.

Cosa significa oggi gestire un atelier storico?

Sicuramente è una sfida quotidiana, bisogna essere sempre sul pezzo e avere nuove idee. Diciamo che ci vogliono… gli attributi. Inoltre, serve metterci il cuore, la responsabilità e tutto l’impegno possibile per soddisfare la clientela, in particolare quella storica che si conosce da sempre. Ogni cliente è un capitolo a sé, ha necessità personali. In fin dei conti noi siamo degli artisti e dobbiamo saper disegnare sulle persone ciò che ne rappresenta la personalità.

 

Infine, parlando ai giovani, quali consigli daresti loro?

Devono trovare la spinta per fare questo lavoro, ma senza esagerare con l’immaginazione. In molti, purtroppo, vivono in un mondo parallelo: i social, il “postarsi”, rendono le ragazze e i ragazzi convinti di essere grandi esperti di moda, ma non è così. Questo “multiverso degli influencer” spaventa il nostro comparto: i giovani hanno bisogno di capire cosa è realmente il settore della moda, fatto di passione, sacrifici e tantissimo impegno per raggiungere grandi risultati.

DATA DI PUBBLICAZIONE

18.07.2010

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