Il presidente De Laurentis: “necessario spazzare via gli steccati esistenti!”

"Quegli steccati da abbattere.." Giovanni Giolitti – più volte Presidente del Consiglio durante il Regno d’Italia – era solito dire “il migliore sedativo per le smanie rivoluzionarie consiste in una poltrona ministeriale, che trasforma un insorto in un burocrate”. Ed è molto difficile non essere d’accordo con questa affermazione quando si guarda a cosa sono diventate negli ultimi trenta/quarant’anni – per pletoricità, pesantezza, ridondanza, inefficienza, burocrazia – le strutture, cosiddette organizzate, che hanno visto e vedono la guida degli ex-ragazzi e degli ex-insorti del Sessantotto. I quali – a partire dalla metà degli anni ’70, una volta esauriti gli ideali da piazza – hanno progressivamente occupato tanto le stanze del potere quanto i ruoli pubblici che potessero permettere loro di costruire un nuovo e diverso stato. Penso che i risultati siano abbastanza evidenti e sotto gli occhi di tutti: a partire dall’attuale apparato statale, per andare agli attuali enti pubblici o parapubblici più o meno collegati, agli attuali partiti politici, agli attuali sindacati, per finire alle attuali associazioni economiche e sociali. Tutte strutture che, malgrado si continuino a definire organizzate, sono sempre lente nel leggere i cambiamenti, inadeguate alla velocità dei tempi e, troppo spesso, incapaci di dare risposte tempestive, corrette, esaustive ai bisogni ed alle necessità tanto del cittadino quanto dell’impresa. I lettori che seguono queste pagine sanno bene come, in ogni occasione, lo scrivente riprenda il tema non solo di una macchina pubblica statale che conta oltre 3,5 milioni di dipendenti ma anche quello di un apparato provinciale costituito da 50 mila persone. Dove quasi un lavoratore su quattro è pubblico e quindi, se vogliamo dirlo senza mezzi termini, pagato dagli altri tre lavoratori. Una macchina che va dimagrita e che deve essere dimagrita nelle quantità. Mentre nella qualità, allo stesso tempo, va resa migliore, meno burocratica, più amica, meno costosa, più pronta ai cambi di passo. Se non vogliamo che finisca per succhiare la gran parte delle risorse di bilancio della provincia, per drenare ricchezza ai cittadini e alle imprese senza produrre né servizio né valore aggiunto, per schiacciare – sotto il peso di una progressiva insostenibilità – la nostra autonomia, la nostra specificità, la nostra comunità. Ma ora, memore dell’evangelico “perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio”, vorrei spendere qualche riga anche sull’Associazione Artigiani. Che sgomita e tiene duro, ma che vorrei crescesse ulteriormente in numeri e, soprattutto, in qualità e credibilità. Che va, ma non alla velocità con cui vorrei andasse. Che funziona, ma non come vorrei funzionasse. Perché anche la nostra struttura associativa non si sottrae all’impietoso scorrere del tempo. Non può reggersi ancora su normative e regole buone per altri momenti storici ma non per il tempo che stiamo vivendo. Non può pensare di sopravvivere su un generico, ed ormai banale, fare sindacato: anche perché l’essere, come lo si è, un interlocutore diretto della politica provinciale già significa tutelare gli interessi degli associati e, dunque, fare sindacato. Non può pensare di limitarsi ad erogare i servizi tradizionali ma deve immaginare e disegnare – come sta facendo oggi la Giunta dell’Associazione – altri compiti, altri servizi, altre opportunità. Allo stesso tempo penso si debbano serrare le fila ed unire le forze, abbattendo quegli steccati che sanno soprattutto di abitudine, di ritualità, di politicamente corretto. Perché, se ha un senso compiuto la separazione tra Associazione (imprenditori in attività) ed ANAP (imprenditori non più in attività) che senso ha, al contrario, mantenere le articolazioni interne del Gruppo Giovani (imprenditori di età inferiore ai 40 anni) e di Donne Impresa? Perché, invece di concentrare e condividere le decisioni, continuare a diluirle in organi dotati di risorse limitate, impegnati in azioni a corto raggio, con potere decisionale ridotto e che non rispondono più – se mai hanno risposto – alle necessità di chi, nell’Associazione, cerca un interlocutore unico? Perché continuare a fissare una soglia di età quando si può essere vecchi a 20 anni e giovani a 70? Perché continuare ad utilizzare la dicitura genere di appartenenza quando nessuno, nel nostro mondo artigiano, ha mai diviso l’imprenditoria e la rappresentanza in maschile e femminile? Per citare un solo esempio: non siamo forse l’unica categoria economica ad avere nominato, in Giunta della Camera di Commercio trentina, due imprenditrici (Ivana Bridi e Francoise Chini, peraltro già presidenti dei loro comprensori) a rappresentare tutte le imprese artigiane? Io continuo a credere che sia necessario spazzare via gli steccati esistenti, creando altri spazi dove mettere in circolo altre idee. Per dare nuova forza, nuova vita, nuovo futuro ai nostri imprenditori, alla nostra comunità, alla nostra associazione. Roberto De Laurentis Sfoglia l'ultima edizione

DATA DI PUBBLICAZIONE

29.06.2014

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