La cura
ed era capotecnico di radiologia negli ospedali civili di Arco e di Riva del Garda. Poi nel 1988 se n’era andato in pensione continuando, tuttavia, a fare il suo lavoro in diverse cliniche private del Trentino. Fino a quel 16 luglio di tre anni dopo, quando un suo ex collega medico mi chiese di fare due chiacchiere che alle mie orecchie suonarono pressappoco così “Qualche giorno fa tuo padre è venuto qui per una biopsia e la diagnosi è un tumore maligno del pancreas. Sarà una strada impegnativa e dura, vi auguro di riuscire a trascorrere il Natale insieme”. Una strada impegnativa e dura, peraltro già conosciuta, visto che undici anni prima l’aveva percorsa, senza ritorno, mia madre. E quindi io, attonito “Silvano, cosa devo o cosa posso fare?” E lui, di rimando “nulla, tieni tuo padre per mano con forza, dolcezza e ricorda quanto ti dico adesso. Il problema non è risolvibile. Quindi a lui – che conosce perfettamente l’andare delle cose – devi creare dei bersagli fasulli, dei bruschi cambi di rotta, dei diversivi improvvisi che non lo facciano pensare troppo e che ogni giorno lo portino a dire ‘domani farò..’ distogliendo così la sua attenzione dal suo problema. Che prevede quell’unica soluzione”.