Chioccia di Guerra

Lucia Del Vecchio | Birrificio 5+

 

Un po’ mamma e un po’ guerriera, ecco perché suo figlio la chiama “Chioccia di Guerra”.

 

Un nomignolo che lei accoglie con un sorriso e in cui, in fondo, si riconosce. Perché Lucia è così: dolce, comprensiva e materna, ma anche forte, decisa e combattiva. É il risultato di contrasti forti, che convivono in lei trasformandosi in armonia. Lucia ha uno sguardo che trasuda serenità, anche quando gli occhi diventano lucidi ripercorrendo le difficoltà che -tutt’ora- continuano ad accompagnarla nel suo percorso.

Eppure, dalle sue parole emerge una sorta di pace interiore, una capacità apparentemente innata (ma invece coltivata con cura) di guardare le situazioni con distacco così da imparare a gestirle al meglio.

In un pomeriggio di ottobre ci ha raccontato la sua incredibile storia.

Se hai dei sogni, vai a prenderteli

E non ti abbattere davanti a niente.

Intervistiamo Lucia Del Vecchio in un caldo pomeriggio di ottobre. Arriva nel suo birrificio trafelata: “Corro da tutto il giorno…. stavo allestendo per un evento, ho conosciuto un ragazzo che mi ha raccontato di un progetto interessantissimo sulle energie rinnovabili e ho perso il senso del tempo!”

La sua figura, morbida come il suo accento pugliese appena accennato, è tutta sorrisi e premure e il suo sguardo rivela una dolcezza infinita. Eppure, ascoltandola raccontare le sue vicissitudini, è chiaro fin da subito che questa donna è abituata a scalare le montagne  e a combattere a mani nude. Ogni giorno. Ma sempre con gentilezza.

D: Dì un po’, Lucia, come ti sei ritrovata a fare l’imprenditrice? 

R. Vengo da Barletta e sono il risultato di due tradizioni familiari che non potrebbero essere più diverse: dal lato materno sono tutti imprenditori e commercianti, persone abituate a mettersi in gioco e a rischiare; dal lato paterno, invece, tutto il parentado lavora da generazioni nel settore bancario. E non lo dico per dire, eh! Davvero: papà, zii, cugini…. tutti in banca! Dentro di me convivono questi due mondi e, se fino a 50 anni ha prevalso la voglia di stabilità e di sicurezza, sono arrivata ad un punto in cui ho capito che dovevo e volevo mettermi in gioco.

D: Qual è stato il punto di svolta?

R: Io e il mio compagno lavoravamo alle Poste. Ad un certo punto, dalla sede centrale, hanno deciso di chiudere in tutt’Italia il progetto Poste Impresa, che mi impegnava. Mi hanno proposto un ricollocamento mantenendo un ruolo dirigenziale, ma quella è stata la scintilla che mi ha fatto pensare: “Voglio davvero starmene in un ufficio postale per tutta la vita?” Ovviamente mi sono risposta: “Assolutamente no!” e così, io e il mio compagno abbiamo deciso di mettere insieme le nostre buone uscite ed investirle in un progetto imprenditoriale. Un birrificio, perché già da 10 anni facevamo la birra in casa. E ci riusciva anche bene.

 

D: E così è nato il Birrificio 5+…

R: Non proprio, sarebbe stato troppo semplice! Dieci giorni prima dell’apertura ufficiale, nel pieno dei preparativi, il mio compagno, che aveva affinato le sue conoscenze e frequentato corsi come Mastro Birraio, ha avuto un ictus. Questo avrebbe pregiudicato per sempre la sua possibilità di rientrare al lavoro ed io mi sono ritrovata a chiedermi cosa dovevo fare: mollare tutto, o continuare?

D: Cosa hai deciso? 

R:  Inizialmente ho provato a tornare indietro…. ho chiamato chi ci aveva venduto i macchinari e ho tentato di convincerlo a riprenderseli, ma non era molto dell’idea, così ho riflettuto. Mollare sarebbe stata la strada più semplice, ma ho pensato che dovevo portare avanti il nostro sogno e che magari, vedere me che ci credevo così tanto, avrebbe potuto essere per lui una spinta a riprendersi. E così mi sono rimboccata le maniche. Ho trovato un giovane birraio e siamo partiti comunque. I primi anni sono stati durissimi. Non solo per la mia situazione personale, ma anche perché la concorrenza era tanta e spietata. Essere donna e dovermi confrontare con tanti giovani uomini, tutti apparentemente più motivati e più aggressivi di me non è stato facile. Non mi sono lasciata intimorire né dalle malelingue, né dalle invidie e ho  pensato che l’unica soluzione fosse avere un prodotto di altissimo livello.

 

D: L’hai attenuto? 

R: E’ stato un lavoro lungo, una strada lastricata di prove e ostacoli, ma un po’ alla volta abbiamo iniziato a vincere premi e riconoscimenti. Merito del mio bravissimo birraio, ma anche della sintonia e dell’armonia che sono venute a crearsi qua dentro: questo birrificio è un luogo magico… con i miei ragazzi (il birraio e il figlio, che collabora nell’azienda di famiglia) parliamo molto e ci abbracciamo di più. E tutto questo premia: abbiamo sgobbato tanto e poi, a un certo punto, ci siamo resi conto che eravamo finalmente pronti.

D: Pronti? Per cosa? 

R: Per accogliere i ragazzi di Casa Sebastiano, la struttura gestita dalla Fondazione Trentina per l’Autismo. Mio figlio è affetto dalla sindrome di Asperger, uno dei disturbi dello spettro autistico, e il nostro birrificio si chiama 5+ proprio perché volevamo un’impresa che avesse un forte valore aggiunto, che fosse un esempio e un aiuto per una società migliore. Sapevo che ospitare un progetto di inserimento lavorativo per questi ragazzi speciali, ci avrebbe portato ad esporci e volevo che il prodotto fosse inattaccabile per evitare che qualcuno ci accusasse di sfruttare la visibilità per sopperire alle carenze del prodotto.

D: Direi che ce l’hai fatta… 

R: Sì ma non mi sento arrivata e le difficoltà sono all’ordine del giorno. Problemi di salute e di gestione familiare e poi…. lo sai che a 10 metri dal capannone (quello in cui si trova il birrificio, n.d.r.)  sbucherà l’autostrada della Valdastico?” Mentre lo dice, Lucia, incredibilmente, sorride. E continua: “Ma io mica mi spavento, sai…. ho un progetto bellissimo, inclusivo e incredibile, ma ancora non lo voglio raccontare. Se tanto magari mi devo spostare, tanto vale rendere questo problema un’opportunità e fare le cose in grande”, no?

D: Giusto. Un’ultima domanda: alla luce della tua esperienza, cosa diresti alle ragazze che vogliono provarci? 

R: Se senti che questa è la tua strada, provaci: coraggio e non ti abbattere. Informati bene, fai un business plan e sappi fin da subito che non sbaglierai del 10% come ti dicono, ma probabilmente del 100%. Eppure, se ci credi davvero, scoprirai che non è un buon motivo per fermarti. Perché se è davvero il tuo sogno, ce la farai.

 

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