L’ultimo numero della rivista l’Artigianato

Mi permetto di dire che, più che a tre anni dalle ultime elezioni, siamo a due anni dalle prossime. Ormai viviamo in campagna elettorale permanente, e ciò significa che alla guida della nostra provincia c’è più una classe di professionisti della politica, disposta solo al mantenimento dell’esistente, piuttosto che qualche (perdonatemi il termine!) statista pronto a rischiare, a cambiare, ad innovare. Se è vero, com’è vero, l’aforisma del predicatore statunitense James Freeman Clarke “un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione; un politico cerca il successo del suo partito, uno statista quello della nazione”. E il Trentino, nei fatti, è una nazione autonoma nella quale non mi sembra di scorgere all’orizzonte né visioni di largo respiro né progetti a lungo termine per il territorio. Registro piuttosto molte azioni talvolta velleitarie, spesso scoordinate tra loro, quasi sempre finalizzate al consenso di un elettorato assopito, abituato al voto per appartenenza e disabituato alle scelte ed ai cambiamenti. Troppi gli orticelli personali, troppi gli interessi particolari, troppi i denari a disposizione. Nelle mani di una provincia mamma-padrona che, avendo la gestione esclusiva di quei denari, decide per il figlio-cittadino e per il figlio-impresa quale sia il vestito da indossare, la scuola da frequentare, la ragazza da sposare. E che infine si lamenta tanto di avere un figlio infelice ed incapace quanto di dover fare lei ogni cosa. Per quanto sopra tre anni fa, io che sono lontano dal “centrosinistra” e che non ho mai creduto alla geografia politica destra-centro-sinistra, ho scelto comunque per un’apertura di credito a Rossi. Convinto della necessità del cambiamento, dopo quasi tre lustri di Lorenzo Dellai. Il quale tuttavia, anche se molto diversa dalla mia, una visione del Trentino l’aveva. Dopo tre anni di governo, anche per l’assenza di un’opposizione strutturata e forte, non mi sembra di vedere svolte. Tanta gestione ordinaria, come fa un buon amministratore di condominio, e poco di più. In parte per le difficoltà in cui opera una presidenza andata – per sufficienza e scarso impegno del partito di maggioranza relativa – ad un altro partito, con tutto ciò che tale anomalia comporta. Dai risentimenti, alle invidie, alle ripicche personali. In parte per le difficoltà di una maggioranza tale nelle mani alzate, ma non nelle idee, che – in assenza del nemico esterno, non avendo l’attuale opposizione né i numeri né le intenzioni – non trova di meglio che dividersi su quasi tutto. Da qui, in una sostanziale incapacità di decidere e seguire una linea politica precisa e condivisa, il fiorire di iniziative spesso estemporanee che costringono poi quella stessa politica – preoccupata dalla necessità del consenso – ad annunci e retromarce tanto poco credibili quanto molto costose. Si pensi alla Sanità – che da sola impegna quasi il 29% del bilancio provinciale, circa 1300 milioni di euro – a partire dai punti nascita per finire alle case di riposo. Nella scuola tra incerti concorsi, reali vacanze (nel senso delle cattedre), trilinguismi buoni più per i convegni che per gli studenti. Negli appalti pubblici, Not in testa. Mi fermo qui, per carità di patria o, meglio, di provincia. Alcune cose nuove sono state fatte. Dalla rivisitazione delle Comunità di Valle alle fusioni tra comuni, dalle ripetute manovre per abbassare il carico fiscale alle imprese alle iniziative di rilancio dell’edilizia, un settore ancora in profonda crisi e fondamentale per la salute dell’economia. Una considerazione: come mai a smuovere, in larga parte, tutte queste cose è stato Daldoss, l’assessore non eletto ma chiamato, al quale si deve anche la nuova legge provinciale ed il nuovo regolamento urbanistico-edilizio? Al lettore la risposta. È stata perseguita, quasi con accanimento, una politica di assistenza totale a chi perde il posto di lavoro mentre ritengo sia stato fatto poco sulla creazione di nuove opportunità lavorative. Troppe start-up, che creano poca e specialistica occupazione, e troppo poca impresa che produce roba che si vede. Troppi servizi di innovazione tecnologica che, peraltro, possono essere prodotti e forniti, a prezzi più competitivi, da paesi dell’est e sud-est asiatico. Troppi studi, buoni soprattutto per la presenza dell’università e dei tanti centri di ricerca territoriali, prima ancora che per le imprese del Trentino. Mentre poco o nulla è stato fatto per ridurre il gravame ed il costo, aumentando allo stesso tempo l’efficienza, della macchina pubblica – autentico serbatoio di voti – alla quale nessun professionista della politica ha mai avuto il coraggio di mettere mano. Eppure lo si dovrà pur fare se si vuole dare respiro a cittadini ed imprese riducendo la burocrazia, smagrendo le procedure, volendo così ritornare un servizio e non un invadente impedimento. Ma innanzitutto serve voglia di cambiare, di innovare, di capire che il domani sarà sempre diverso e migliore. In un mondo che vede esplodere la Brexit, irrompere Trump, mandare a casa Renzi, sconvolgere certezze ritenute incrollabili, in provincia di Trento non possiamo pensare di continuare a chiedere in giro (ma sempre sottovoce, perché “non si sa mai”) “ti che ’n dìsit? ghe sarà ancor ’n altro contributo per cambiar ’sto tornio.. o no?”.

DATA DI PUBBLICAZIONE

27.01.2017

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