Una storia di ordinaria burocrazia

"Stop al servizio scuolabus”. Questo il categorico titolo – un paio di settimane fa, a sei colonne ed in prima pagina – del nostro più seguito giornale locale. Un titolo che, nei fatti, mi sembra fornire almeno tre diverse notizie: una racconta dell’ennesimo appalto pubblico annullato in Trentino, un’altra evidenzia il profondo malessere che pervade il mondo delle forniture pubbliche, un’altra ancora fa intuire come la macchina burocratica provinciale e statale sia ormai diventata nemica tanto del cittadino quanto dell’impresa. Una macchina talvolta aggressiva, sempre autoreferenziale, spesso lenta nel dare risposte. E, quando le da, in alcune circostanze indecisa ed inefficiente, in altre fumosa e poco chiara. Per tacere del suo costo in carico alla comunità. Ma veniamo ai fatti. Il Consorzio Trentino Autonoleggiatori – in sigla CTA, una delle eccellenze di aggregazione artigiana nell’universo dell’individualismo provinciale – partecipa all’appalto per il servizio di trasporto scolastico. Le aziende coinvolte dal CTA – dislocate su tutto il territorio trentino per coprire anche l’angolo più periferico in cui gli scolari abbiano la necessità/diritto di essere accompagnati a scuola – sono 118 sulle 130 consorziate. E mettono a disposizione circa 420 mezzi che tra fermi-macchina, sostituzioni, emergenze possono arrivare a 600 mentre tra autisti, meccanici, personale diverso danno lavoro ad oltre 550 persone. Il bando di gara, coerente alle indicazioni del Consiglio di Stato, impone ad ognuna delle aziende partecipanti l’obbligo di indicare per ciascun amministratore, titolare, socio, direttore tecnico – perfino per i cessati nell’anno precedente – l’esistenza di una condanna definitiva o di un decreto penale di condanna irrevocabile. Incluse quelle per le quali sia stata disposta la non-menzione. E qui, perlomeno, ci si dovrebbe chiedere che senso abbia la non-menzione quando poi la si deve comunque dichiarare. Come il lettore può facilmente immaginare si tratta di un lavoro lungo, pesante, delicato. E quale può essere la ragione di una clausola così rigorosa ed onerosa? Ritengo per poter affermare che il bando sia ispirato dalla volontà di verificare prima, ed escludere poi, l’esistenza di precedenti legati ad un’attività criminosa grave o alla criminalità organizzata. Alla fine, come sempre avviene, a venire colpito non è il “farabutto strutturale” ma il “ladro di polli” che, nel nostro caso specifico, ladro di polli non è. Né tantomeno criminale organizzato poiché quando partecipa a un appalto, se la criminalità organizzata è per l’appunto tale, lo fa con società e persone assolutamente “pulite”. Nel nostro caso, il primo “crimine” è commesso da un socio (badate bene, non l’amministratore) di una delle 118 aziende impegnate nell’appalto. Quale crimine? Non avere dichiarato una multa di 130 euro – risalente al 2003 per il mancato versamento di contributi, sanata con pagamento successivo – di conseguenza dimenticata. Il secondo “crimine” è commesso dall’altro socio della medesima impresa (badate bene, non un autista) per non aver dichiarato il ritiro della patente per guida in stato di ebbrezza, due anni fa. Anche in questo caso procedimento ultimato e concluso. Di mio, voglio aggiungere che i “crimini” sopracitati non sono il frutto né di negligenza né di voluta dimenticanza ma il risultato di un’attenta interpretazione della norma (del tutto fondata, sentito il parere degli esperti) da parte dell’impresa che ha ritenuto corretto, oltreché opportuno, non dare tali informazioni. Peccato che l’ente pubblico, con buona pace degli esperti, la pensi in modo assolutamente diverso. Anche considerando che per partecipare, da una parte, il CTA ha dovuto predisporre tutta la pesantissima documentazione tipica degli appalti pubblici e controllare le singole dichiarazioni dei titolari – vale a dire i dati di circa 350 persone – mentre, dall’altra, l’ente pubblico ha dovuto vagliare minuziosamente tali dati. Con quale risultato? Logica vorrebbe che la ditta, se mai un giorno si accerterà che ha sbagliato, venga esclusa dall’assegnazione dei lavori e tale pena sarebbe, già di per sé, pesante. Ma qui non siamo nel campo della logica. No. Qui le norme e la burocrazia imperano. Si penalizza tutto il CTA. Si annulla il bando per tutte le aziende. Scatta immediato il ricorso del CTA al TAR e avanti con ulteriori costi per sostenere le spese legali. Si procede all’indizione di un nuovo bando con relativa produzione di un’ennesima, tanto inutile quanto chilometrica, documentazione. E giù mesi di lavoro amministrativo privato e pubblico letteralmente buttati al vento. Ma la cosa interessante è che le dichiarazioni non hanno alcun valore dissuasivo. Provo a spiegarmi meglio: se la ditta “che ha sbagliato” avesse dichiarato i due “crimini” non ci sarebbe stata alcuna conseguenza nell’assegnazione dell’appalto. Che sarebbe andato comunque al CTA, in quanto unico partecipante. È evidente come ogni appalto sia ormai diventato un’avventura dove, per vincere, non servono né preparazione né professionalità né capacità operativa ma, innanzitutto e soprattutto, dei buoni avvocati amministrativi. E quando non è il concorrente perdente ad impugnare l’esito della gara d’appalto ci pensa, bontà sua, la stazione appaltante. Spesso invocando fino all’impossibile l’applicazione anche dell’ultimo codicillo, in barba alla sostanza. Così i lavori non vengono assegnati. E quando lo sono, per restare in tema, magari vince chi conosce poco le strade del Trentino e dispone di autisti che faticano a montare le catene.

DATA DI PUBBLICAZIONE

16.08.2016

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