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28.10.2014

È tornato il gioco delle tre carte

L'editoriale dell'ultimo numero della rivista l'Artigianato Per i meno giovani la sigla CAF ha un preciso significato: Craxi, Andreotti, Forlani. I tre principali interpreti di quel decennio politico, avviato nel 1981, in cui alla guida dello Stato c’era il cosiddetto pentapartito, una alleanza tra Democrazia cristiana, Partito Socialista, Partito Socialdemocratico, Partito Repubblicano, Partito Liberale. Un decennio andato a morire nella palude di Tangentopoli che, da una parte, ha visto affogare nella corruzione ogni etica non solo politica mentre, dall’altra, ha visto quale regalo all’Italia un debito pubblico più che raddoppiato. Con il quale, da allora, ogni governo deve fare i conti in un contesto che si è andato via via deteriorando con l’arrivo dell’euro. Di una Europa voluta dalle banche e non dalle nazioni, nata già vecchia ieri e sempre più ingessata oggi. Di una burocrazia voluta da Bruxelles e resa da Basilea sempre più invasiva, più pervasiva, più soffocante. Di leggi e normative europee, volutamente vincolanti, che non solo non liberano ma talvolta opprimono e perfino offendono le intelligenze, le capacità, le risorse. Di un continente diventato di colpo vecchio che, tanto nell’economia quanto nei valori di riferimento, letteralmente si trascina mentre gli altri continenti camminano spediti o, addirittura, corrono. Così, in questo contesto e in poco tempo, l’Italia ha visto crescere il proprio debito pubblico dai 1907 miliardi di euro (Tremonti, 2011) ai 1989 (Monti, 2012) ai 2069 (Letta, 2013) agli attuali 2186 (Renzi, 2014), in aumento di circa 90 miliardi/anno per interessi passivi dovuti alla Banca Centrale Europea che – qualcuno forse ricorda – è una proprietà privata, non un istituto pubblico. Allo tempo stesso – poiché Bruxelles impone di contenere il rapporto debito/PIL, impresa disperata con una spesa pubblica in crescita e con imprese che, per sopravvivere, sono obbligate a lasciare l’Italia – l’unica manovra, che ogni governo fa, è di aumentare le tasse. Così le imprese o chiudono o vanno all’estero, le famiglie sono sempre più povere e spendono meno, il rapporto debito/PIL non si riduce, la sfiducia del semplice cittadino – nei confronti di tutto e tutti – si diffonde a macchia d’olio, la comunità vacilla, sbanda, si sfalda. E, mentre questa Europa chiede sempre nuovi sacrifici, nessun politico vecchio o nuovo – per tornaconto personale o di partito – ha il coraggio e le capacità per affrontare i veri problemi dell’Italia poiché farlo significherebbe impopolarità, piazza in rivolta, sconfitta elettorale. Di una macchina statale che con i suoi 3,5 milioni di occupati è enorme, inefficiente e clientelare alla quale sembrano essere sconosciuti termini quali “senso di appartenenza, dovere, servizio ai cittadini ed alle imprese” mentre sono conosciuti i termini “diritti, intoccabilità, non licenziabilità”. Di una sanità non più sostenibile da 110 miliardi di euro/anno. Di una istruzione in cui la parola missione è stata sostituita da assunzione per motivazione elettorale in nome del “basta precariato!”. Di un welfare che eroga 15.700.000 pensioni/mese in cui alle troppe indennità da elemosina fanno da contraltare le molte indegnità da pensione di lusso. Di una pressione fiscale intollerabile, in un paese civile, dove i cittadini e le imprese sono una mucca da mungere fingendo di non sapere che, se l’animale muore, domani non ci sarà più latte per nessuno. Malgrado gli annunci a cadenza giornaliera, nemmeno Renzi è un coraggioso. E guardo a tre carte giocate. La prima. 80 euro in busta-paga ai dipendenti, con reddito inferiore ai 1.500/mese per 13 mensilità, non hanno generato aumento dei consumi ma solo più depositi bancari innescando, così, un meccanismo di deflazione. 80 euro, peraltro, in parte vanificati dal rincaro di IMU, TARI e compagnia tassante. La seconda. Il TFR in busta-paga significa circa 600 euro/anno e quindi metà valore di quello che, peraltro, ha permesso a Renzi di vincere le elezioni europee a maggio. Ma TFR in busta-paga vuole dire anche bruciare oggi risorse da godere domani.. con l’evidente vantaggio tuttavia, per le casse statali, di incassare quell’IRPEF che, altrimenti, verrebbe versata solo in chiusura del rapporto di lavoro. Un TFR in busta-paga che, da una parte, drena la liquidità dell’impresa e, dall’altra, la obbliga a ricorrere al credito: ma non è Renzi a dire “ho contro i poteri forti”? La terza. Per il meccanismo IRAP – esclusione dall’imponibile del costo/lavoro – le imprese con dipendenti a tempo indeterminato pagheranno meno mentre le imprese individuali ed i lavoratori autonomi pagheranno di più: saranno così – ancora una volta – i soliti, piccoli ignoti a pagare al posto dei soliti, grandi noti. Naturalmente, sempre “alla faccia dei poteri forti”. Ho vissuto gli ultimi trent’anni di lavoro andando per le autostrade italiane e non mi stupisco quando, davanti all’autogrill, vedo sorridenti e simpatici imbonitori – muniti di un tavolino e di tre carte – pronti a spennare il viaggiatore ingenuo. Ora, in quel gioco delle tre carte, una è buona e le altre due sono farlocche. La politica italiana e temo, purtroppo, anche quella trentina – per essere sicura di vincere ancora – mi sembra le butti sul tavolino tutte e tre farlocche. Roberto De Laurentis – Presidente Associazione Artigiani di Trento Read more