La corte dei miracoli

Spesso ignorare la presenza di qualcuno o qualcosa può essere una buona pratica ma, nel tempo, continuare a fingere che quel qualcuno o quel qualcosa non sia presente ha il significato del provare timore, di certo del manifestare debolezza, forse e perfino del rivelare paura. Tutte caratteristiche che non appartengono né alla nostra Associazione, peraltro avviata in questi mesi a compiere i suoi primi 70 anni, né allo scrivente che, quando ha qualche esitazione o dubbio, agisce come suggeriva di agire Martin Luther King “un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”. Ecco perché, già da qualche mese, avrei voluto scrivere dell’arrivo di CNA in Trentino. E lo faccio oggi, ignorando educatamente l’opinione di quanti in Associazione preferiscono ancora la politica dello struzzo che, infilata la testa nella sabbia e non vedendo, si convince di non essere visto. CNA, per chi non lo ricordasse, è la Confederazione Nazionale Artigiani (sindacato imprenditoriale nato nel secondo dopoguerra dai partiti di sinistra) da sempre avversario di Confartigianato (nata sempre nello stesso periodo dai partiti centristi) a cui aderisce la nostra associazione. E la formale unità di intenti – che vede CNA e Confartigianato alleati a Roma – è smentita dalla concorrenza, dura e senza esclusione di colpi, praticata quotidianamente nei territori. Per venire a noi, CNA è presente in Alto Adige con dichiarate circa duemila imprese socie (ma i numeri reali pare dicano milleduecento) e finora non aveva mai formalizzato una sua presenza in Trentino. Dove la nostra Associazione, per così dire, la fa da padrona e conta quasi diecimila imprese artigiane associate, a fronte delle circa tredicimila iscritte in Camera di Commercio. Poi, a luglio di due anni fa, l’annuncio di CNA Bolzano: “apriamo a Trento”. Nelle dichiarazioni ufficiali el presidente altoatesino di CNA Corrarati per “dare una mano alle imprese trentine” ed “operare in accordo con le altre organizzazioni”, nei fatti per motivi squisitamente personali. Vediamoli. Lo statuto di CNA prevede che il presidente regionale entri di diritto negli organi nazionali ma Corrarati è solo un presidente territoriale. Da qui, dunque, la necessità di estendere una presenza al Trentino. Annunciata a mezzo stampa dal consulente ingaggiato per l’operazione, quello Stefano Chelodi che non solo è una vecchia conoscenza della politica trentina ma che, in quel momento, era addirittura un dirigente sindacale di Confcommercio e vicepresidente di categoria. Il quale soltanto un mese prima, e contando sulla conoscenza personale, era venuto a chiedere qualche risorsa (si legga, denaro) per sostenere un’iniziativa di solidarietà. E l’aveva ottenuta dal nostro CAAF, sotto forma di devoluzione del 5 per mille. Così, in un colpo solo, si può dire che al Chelodi sia riuscita un’impresa degna di essere ricordata: tradire la fiducia della nostra Associazione e la mia personale, operare in favore di una struttura nostra avversaria, creare concorrenza per la stessa Confcommercio che lo aveva investito di un ruolo da dirigente sindacale. Peraltro senza risultati apprezzabili, in termini di presenza sul territorio e di associati, se poi CNA nel 2015 ha interrotto il rapporto di collaborazione per dotarsi di nuovi e più agguerriti organi sindacali. In grado di portare a CNA altri associati ed altri servizi, rendendo così operativa la nuova dislocazione a San Michele all’Adige. Ora, forse il lettore si chiederà da dove arrivino questi nuovi e più agguerriti organi sindacali. Ebbene CNA non li ha selezionati tra i 160 soci dichiarati ai media nel 2014, diventati 130 a fine 2015, oggi forse ridotti (se mai sono stati di più) a poche decine. Ha recuperato direttamente i due che hanno lasciato l’Associazione Artigiani, più ancora che per la forte antipatia nei confronti di chi scrive, per il venir meno di quel loro “ruolo associativo” che nel caso di Andrea Benoni e di Maria Rosaria D’Agostino (per una verifica è sufficiente consultare il sito web di CNA, sezione Coordinatori) coincide perfettamente con la voce “sedia”. Qualunque essa sia. E non mi stupisce affatto che ne abbiano cercata un’altra proprio loro – lui, presidente della Vallagarina per otto anni e lei, presidente per quattro del nostro movimento Donne Impresa – sempre pronti a pontificare sulla necessità di lavorare per gli altri, ad impartire lezioni sul senso di appartenenza, a sentenziare sul legame indissolubile con l’Associazione Artigiani. Perché, di solito, è proprio chi si dichiara a disposizione della comunità colui che agisce per gli interessi personali. Perché, di solito, è proprio chi si esibisce in dichiarazioni non richieste a lasciar trasparire l’animo del voltagabbana. Perché, di solito, è proprio chi predica assoluta fedeltà ai valori colui che è pronto a tradirli per poco, a volte anche meno. Ora sono certo che questi personaggi faranno il giro delle imprese nostre associate per convincerle tanto sulla bontà della loro scelta quanto per esaltare le potenzialità della loro nuova organizzazione. Li lasceremo fare. Fiduciosi nella nostra capacità nel dare risposte, nella nostra preparazione professionale, nella nostra forza sindacale. Sicuri che il tempo è sempre galantuomo ed è sempre il tempo a dimostrare quanto valga quel qualcuno o quel qualcosa. E poi 70 anni di buoni successi, come quelli dell’Associazione Artigiani, non si costruiscono in pochi giorni. Magari con un consulente improvvisato, disposto a tutto e pronto a nulla. Con chi si inventa una vuota sede anche in Trentino perché qualcuno a Roma lo prenda per un pieno rappresentante regionale. Con due fuoriusciti che assomigliano troppo alla famosa Croce Rossa sulla quale, per definizione, è perfino troppo facile sparare. Non so perché, ma mi sono venute alla mente le “corti dei miracoli“ di Parigi. E su Wikipedia ho trovato “da molti secoli Parigi e i suoi dintorni erano infestati da una folla di vagabondi e di poveri. La maggior parte, uomini senza scrupoli, facevano i mendicanti di mestiere e tenevano i loro quartieri generali nelle corti dei miracoli. Si chiamavano così i loro rifugi perché non appena vi entravano smettevano i costumi del loro lavoro. I ciechi riacquistavano la vista, i paralitici riprendevano l’uso delle loro membra, gli zoppi erano sanati. Tutti i mezzi sembravano loro adatti per suscitare la compassione dei passanti (…)” Un saluto a tutti e.. al prossimo numero!

DATA DI PUBBLICAZIONE

12.04.2016

CONDIVIDI LA NOTIZIA