Dal primo gennaio 2016 il Jobs Act renziano – al fine di dare sostegno al reddito in caso di difficoltà aziendale – impone che l’impresa metta a disposizione, per ogni lavoratore, un importo calcolato in percentuale su paga-base e contingenza. Per le imprese aderenti all’industria, l’aliquota minima stabilita è dell’1,7% e va ad alimentare una riserva dedicata alla gestione della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria mentre, per tutte le altre imprese, è dello 0,45% e va a confluire in un unico fondo nazionale. Ora, noi siamo trentini e dunque la nostra tanto sbandierata autonomia, la nostra tanto sbandierata peculiarità, il nostro tanto sbandierato essere sistema (purtroppo, e troppo spesso, solo a parole) fanno sì che sia necessario creare sempre qualcosa di autonomamente diverso dal modello nazionale. Ecco quindi, dall’assessore all’Economia e al Lavoro Alessandro Olivi, l’idea di un unico fondo territoriale in grado di ricomprendere al suo interno – con l’eccezione dell’industria, incardinata su un assetto nazionale – le diverse categorie economiche. Ed è così che nello scorso dicembre – dopo qualche mese di gestazione, accompagnato dall’immancabile squillo di trombe oltre al rullio di tamburi – viene sottoscritto l’accordo per la costituzione di un fondo territoriale intersettoriale. Del tutto uguale a quello nazionale. Anche nelle regole. Al quale, tuttavia, non aderiscono né il mondo dell’agricoltura né quello dell’artigianato. E, qui, devo confessare di essere rimasto stupito dalla polemica politica che è seguita alla nostra scelta. In quanto la mancata adesione artigiana era tutto tranne che una sorpresa poiché, già nel primo incontro di lavoro sul tema, avevo anticipato i molti dubbi del nostro mondo. Che qui di seguito, per curiosità del lettore, vado a sintetizzare in tre punti principali.Primo. Il nostro mondo artigiano, a partire dalla metà degli anni ’90, trova un formidabile ammortizzatore nell’Ente Bilaterale Artigianato Trentino (EBAT) che, in questo lungo periodo di forte difficoltà, ha supportato oltre un migliaio di imprese e fornito tutela ad oltre quattromila lavoratori. Se è vero – come è vero – che oggi il numero dei lavoratori in EBAT è di quattro/cinquecento unità inferiore a quello pre-crisi del 2008. Se è vero che EBAT, malgrado la rivendicazione di altra categoria economica, per primo ha messo in campo i contratti di solidarietà al fine di salvaguardare i posti-lavoro nelle imprese trentine. Se è vero che EBAT è l’unico ente bilaterale funzionante in Trentino, mentre quelli di altre categorie non sono pervenuti. Dunque demandare le funzioni di EBAT al fondo territoriale, avrebbe il significato di gettare alle ortiche un sistema perfettamente funzionante per passare ad un altro oggi inesistente ed ancora del tutto virtuale.Secondo. Il nostro mondo artigiano nazionale, a partire dal 2012, ha dato vita a FSBA (Fondo Solidarietà Bilaterale Artigianato) dentro il quale, nel 2014 e 2015, le imprese trentine hanno versato circa 700 mila euro. Pertanto abbandonare FSBA non avrebbe senso poiché significherebbe perdere quanto accantonato finora ed, inoltre, FSBA rappresenta “risorse che partono dal mondo dell’artigianato e tornano al mondo dell’artigianato”. Cosa impossibile per un fondo intersettoriale al quale attinge chi ne ha necessità, potendo utilizzare non solo le proprie ma anche le altrui risorse. Cosa che, in sé, sarebbe buona e giusta se il Trentino fosse un sistema, e non quella semplice aggregazione di orticelli, lontani l’uno dall’altro, quale è in realtà. E devo aggiungere come, per 100 euro affluiti ad FSBA, ne ritornino ben 99,1 e come, in caso di esaurimento della disponibilità, da una parte FSBA possa trasferire ulteriori risorse nazionali e, dall’altra, EBAT possa rimpinguare il fondo con risorse proprie. Da ultimo FSBA costa realmente all’azienda artigiana lo 0,28% poiché nello 0,45% è ricompresa la quota – circa 34 euro – destinata alla bilateralità. Terzo. Altro nodo importante è stata, senza dubbio, la governance del fondo territoriale. FSBA viene gestito direttamente dall’artigianato, attraverso un Consiglio di Amministrazione a carica gratuita, mentre il fondo territoriale è incardinato su un modello nazionale che prevede un Consiglio di Amministrazione composto da 6 rappresentanti dei datori di lavoro, 6 delle organizzazioni sindacali, 2 funzionari PAT, 1 rappresentante del ministero dell’Economia, 1 del ministero degli Affari Sociali, il Direttore regionale ell’INPS con voto consultivo, ai quali si affianca il Collegio dei Revisori dei Conti dell’INPS. La domanda (un po’ retorica, in verità) è “chi mai assumerà ogni decisione?”.. mah!, con buona pace della tanto sbandierata autonomia, lascio la risposta al lettore. Non senza citare un ultimo, piccolo, non trascurabile particolare: le prestazioni del fondo territoriale, governate da INPS a cui spetta l’ultima parola, sono anche gravate di oneri gestionali. Quelle di FSBA, no.Mi auguro di avere così chiarito le motivazioni del “no” artigiano a “questo” fondo territoriale. Un “no” né categorico né definitivo. In grado di sparire e mutare in “sì” qualora l’impianto del fondo territoriale venga rivisto nell’ottica di FSBA. A differenza di quanto accaduto, stavolta non sarebbe affatto male se l’assessore Olivi – prima di imporre la sua soluzione – provasse a chiedere la nostra collaborazione. Se non altro per il rispetto dovuto a quanti sono chiamati a mettere, dentro quella soluzione, le proprie risorse economiche. Roberto De Laurentis – Presidente dell’Associazione Artigiani