I piccoli investigatori crescono

In questi ultimi mesi, ma sarebbe più corretto dire anni, sui media locali si è spesso parlato di Sanifonds. Da parte di taluni, senza conoscere. Da parte di altri, per posizione politica. Da parte di qualcuno, soprattutto a sproposito. Come nel caso del consigliere provinciale Claudio Cia che, ad una lettera inviata al Trentino in cui “cerca trasparenza” (?), fa seguire una conferenza stampa ed un’interrogazione di cinque pagine cinque (!) alla Giunta provinciale per chiedere lumi su Sanifonds. Eppure sarebbe stata sufficiente una telefonata allo scrivente, presidente di Sanifonds, che in maniera semplice, diretta, comprensibile – peraltro come da sempre mia abitudine – poteva dare risposta chiara ad ogni perplessità o domanda. Ma ciò, evidentemente, non avrebbe provocato né una gratificante comparsata sui media né avrebbe consentito, allo stesso tempo, di intorbidire un po’ le acque a fini politici. Da qui la decisione di buttare giù queste due righe, e fare un po’ di chiarezza ed un po’ di storia, perché anche il lettore meno attento capisca cosa è oggi Sanifonds. All’inizio del 2013 le categorie economiche vengono chiamate, dall’allora Assessore alla Salute Ugo Rossi, a dare vita ad un fondo chiuso nel quale fare affluire le quote annuali – per singolo dipendente ed a carico del datore di lavoro – destinate a fornire prestazioni di sanità integrativa a tutti i lavoratori trentini. Pubblici e privati. A discutere di modalità, di struttura, di governance del fondo sono la Provincia Autonoma di Trento, l’ASAT degli albergatori, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Cooperazione e le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL. Giusto il tempo di qualche riunione e Confindustria – che già versa quote a livello nazionale e percepisce quindi la sanità integrativa come un ulteriore costo del personale per le imprese, in un momento di grande difficoltà economica – si defila. Seguita a ruota dalla Cooperazione che quanto più parla di sistema economico trentino tanto più mira ad isolarsi, a chiudersi, a rifugiarsi nel proprio mondo. In attesa rimangono ASAT, Confcommercio e Confesercenti – che già versano quote in altri fondi – mentre la Provincia e il sindacato “spingono” per realizzare un fondo territoriale che sia, nello stesso tempo, anche un progetto di identità, di autonomia, di solidarietà trasversale delle categorie economiche trentine. E Confartigianato? La nostra Associazione già dal 2012 aveva dato vita a SIA3 (la Sanità Integrativa per i dipendenti delle nostre imprese, ad eccezione dell’edilizia incardinata su un altro ente) abbandonando così il fondo nazionale artigiano San.Arti in nome dell’autonomia e dell’efficienza di un sistema territoriale. Strappo netto e deciso. Non semplice, non indolore, non digerito da Confartigianato nazionale poiché rappresentava una fuga in avanti e creava il precedente per un possibile abbandono anche di altre regioni virtuose quali la Lombardia, il Veneto, il Friuli, il Piemonte. A maggio 2013 è evidente che il fondo non può partire poiché lo vogliono solo la Provincia e il sindacato. E qui entra in gioco l’Associazione Artigiani. Che dice “siamo disponibili al fondo territoriale poiché risponde alla nostra volontà ed al nostro sentirci elemento di un sistema.” Che, per così dire, forza la mano anche alle altre associazioni datoriali. Che il 20 giugno 2013 firma un accordo con il sindacato in cui si impegna, quando le adesioni avranno superato le 22.000 unità, a fare confluire SIA3 nel fondo territoriale in costruzione. A luglio 2013 nasce il fondo Sanifonds con un Consiglio di amministrazione formato da 8 rappresentanti del sindacato (3 CGIL, 3 CISL, 2 UIL) e 8 dei datori di lavoro (2 PAT, 2 Confartigianato, 2 Confcommercio, 1 ASAT, 1 Confesercenti) del quale – su proposta condivisa del sindacato, ritengo per quanto sopra – mi viene affidata la presidenza. A fine agosto dice sì a Sanifonds anche la Cooperazione e, a seguire, Confindustria. Entrambe oggi con un “uditore attivo” in Consiglio di amministrazione. Da allora si è realizzato il nomenclatore sanitario, approvato nei mesi scorsi e che prevede 208 prestazioni diverse. Si è assunto il direttore del fondo, scelto da una commissione interna al Consiglio, tra i 148 curricula pervenuti. Si è fissato l’inizio-attività di Sanifonds il 1° marzo 2016, giorno in cui il direttore prenderà servizio, da solo, senza personale. Si è stabilito di rimborsare, retroattivamente da gennaio 2015, le spese sanitarie degli iscritti al fondo. Si sta alimentando la “banca-dati” con la comunicazione dei singoli iscritti da parte degli enti pubblici interessati. Al 20 febbraio – e diciamola tutta, addirittura malgrado il boicottaggio di talune unità della PAT – il fondo ha 2745 iscritti appartenenti a 112 enti diversi. E si continuerà così, fino alla definitiva messa a regime di Sanifonds. Mentre voglio ricordare che finora né lo scrivente né alcun componente il Consiglio di Amministrazione hanno mai percepito compensi e che gli oneri non solo operativi, proprio in virtù del mio ruolo di presidente, li ha sempre sostenuti l’Associazione Artigiani. Ora – se si trattasse di un’azienda privata, per sostenerne le spese di funzionamento – il presidente andrebbe semplicemente in banca, aprirebbe un fido, darebbe disposizione di incassare per ogni iscritto la relativa quota e così via lavorando. Purtroppo non è così. La PAT attende di sapere quanti saranno gli aderenti a Sanifonds per determinare le quote da versare al fondo. Alcuni membri del Consiglio di amministrazione non firmerebbero un fido nemmeno se ne andasse della loro vita. Eppure l’attività del fondo deve avere inizio. Con quali risorse? Parte da qui la mia richiesta alla PAT di erogare un acconto da 200 mila euro sugli oltre cinque milioni di euro previsti – argomento principe dell’interrogazione formulata dal consigliere provinciale Claudio Cia – quando basterebbe a Sanifonds, insieme alle adesioni, incassare le relative quote. Forse troppo semplice per una burocrazia che si nutre di complicazioni, che pone difficoltà in tutto, che sa operare solo in tempi che definire biblici è riduttivo. Forse troppo semplice anche per qualche politico locale abituato – perché politico? – a vedere del marcio ovunque. Forse troppo semplice – se “il nome è un presagio”, come recitavano i latini – per uno che di cognome fa CIA e finisce quindi per credersi un’agenzia internazionale di investigazioni. Americana, peraltro. E scivolata più volte non tanto in errore quanto nel ridicolo.

DATA DI PUBBLICAZIONE

02.03.2016

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