La lunga traversata del deserto

Il titolo di queste righe riconduce ad una immagine suggerita dal racconto biblico e fa riferimento al difficile viaggio del popolo ebreo, dall’Egitto verso la terra promessa. Ma la frase è anche utilizzata, nel linguaggio giornalistico ed in senso figurato, quando una personalità politica si ritira dalla scena per un periodo più o meno lungo o quando un partito, un’associazione, una comunità, un gruppo portatore di interessi è chiamato a vivere una fase di transizione tra due momenti storici. Ora, a partire dal 2008 e senza alcun dubbio, il mondo occidentale ha iniziato la sua traversata del deserto. Lasciando per strada, dietro di sé, concetti che sembravano consolidati quali la crescita continua, la ricchezza sempre più diffusa, il benessere generalizzato per incamminarsi lungo un percorso fatto di malesseri sociali, di nuove povertà, di improvvise e continue decrescite che nessuno sa né quanto possano durare né dove possano condurre. In breve, il mondo occidentale sta vivendo quella fase di depressione che i cosiddetti, onnipresenti, preparati esperti (ma di che?) chiamano crisi. Una crisi – io preferisco definirla cambiamento – che ritengo morale prima ancora che economica. Scatenata non da una economia contro altre economie, non da una religione contro altre religioni, non da una cultura contro altre culture ma da istituti di credito contro altri istituti di credito. Da banche spregiudicate insomma, quali la Lehman Brothers, che hanno ingannato altre banche inondandole di spazzatura finanziaria – definita derivati, il cui valore è dieci volte superiore al PIL mondiale – in grado di produrre utili enormi per pochi individui e, allo stesso tempo, di impoverire comunità, imprese, famiglie, persone. Tutte sempre chiamate, a fronte di un disastro finanziario degno di tale definizione, a saldare i debiti dell’istituto di credito coinvolto. O direttamente quali clienti, soci, risparmiatori o attraverso l’immancabile aiuto di stato, quali semplici contribuenti. Pertanto, se in questi anni c’è qualcosa che è andato veramente in crisi, ritengo sia il concetto della fiducia e, per quanto sopra, ne considero diretti responsabili gli istituti di credito. Tutti. Perché senza fiducia non si fa nulla e non si va da nessuna parte. Perché senza fiducia si allentano i rapporti tra le persone e si sgretola la società. Perché è necessaria la fiducia, più ancora che il denaro, per produrre idee, per metterle in moto, per provare a realizzarle, per aver voglia di scommettere sulla propria volontà e sulle proprie capacità, per costruire imprenditori in grado di generare nuove imprese, nuova economia, nuova ricchezza, nuovo benessere. Per se stessi, per le proprie famiglie, per i propri collaboratori, per la propria comunità. Europa, Italia e Trentino, pure se con modalità molto diverse, stanno facendo la loro traversata del deserto. Una traversata che in provincia, nel triennio 2008-2010, sembrava agevole grazie ai molti milioni di euro messi in campo da una politica invasiva e pervasiva, impegnata e preoccupata – come ogni mamma in grado di conoscere, pur senza volerla vedere ed ammettere, la debolezza del proprio figlio – di reggere un tessuto economico sostanzialmente fragile. Costituito da imprese medio-grandi senza forti radici territoriali e da una piccola impresa disposta a lavorare o alla loro ombra o in un mondo che, grazie alle risorse private del territorio, non ha finora conosciuto grandi difficoltà. Un mondo delle imprese mai addestrato a correre, a lottare, ad evolvere perché abituato – come diceva mia nonna Laura – a tenere “il sedere nel burro” della trentinità, del contributo, dell’appalto pubblico. Oggi la traversata è diventata più difficile. Ci si accorge di avere perso troppe imprese dell’edilizia, unico motore di sviluppo ad avviarsi in tempi brevissimi. Di non avere più le aziende che hanno delocalizzato con l’alibi di internazionalizzare. Di alimentare imprese che rimangono fino all’esaurirsi degli incentivi e delle agevolazioni. Di mantenere nel tepore di robusti ammortizzatori sociali quasi ventimila persone che alla comunità non restituiscono nulla. Di avere utilizzato ingenti risorse per quell’industria, gradita al sindacato, capace di chiedere risorse pubbliche per mantenere e non per creare un solo posto di lavoro in più. Di avere un PIL in calo che, dunque, mette a repentaglio una autonomia poggiata sulla nostra capacità di produrre ricchezza. Nel preciso momento in cui Roma viene a fare provvista di denaro per soddisfare l’appetito sempre maggiore di una macchina pubblica ogni giorno più costosa, più pesante, più lenta, più lontana, più nemica dell’impresa e del cittadino. Domani la traversata diventerà ancora più difficile. Se non iniziamo a rovesciare l’attuale modello economico, che toglie risorse alla piccola impresa per consegnarle alla medio-grande. Se non proviamo a smagrire, per renderla meno costosa e più efficace, più efficiente, più amica una macchina pubblica provinciale sempre più simile a quella statale. Se non abbiamo la forza e il coraggio di scegliere anche una diversa classe politica. Che lavori per l’interesse generale, non solo in funzione dell’appartenenza. Che si impegni per il Trentino di domani, non solo in funzione della prossima scadenza elettorale. Che non consideri una traversata del deserto il tempo che intercorre tra l’inizio e la fine del proprio incarico pubblico. Qualunque esso sia. Roberto De Laurentis – Presidente Associazione Artigiani di Trento

DATA DI PUBBLICAZIONE

13.05.2015

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