I l 27 aprile concludo il mio secondo e ultimo mandato quadriennale di presidente dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese del Trentino. Ma prima di lasciare l’ufficio di via Brennero, ai molti che in questi anni hanno continuato a leggere queste mie note con interesse, pazienza, affetto e perché no? amicizia, desidero tracciare una breve sintesi di cosa sia la nostra organizzazione. Articolata in tre distinte realtà (l’Associazione impegnata a fare sindacato, Trentino CAF Imprese a tenere la contabilità ed assolvere gli adempimenti amministrativi di tremilatrecento aziende non solo artigiane, SAPI a dare risposte in tema di medicina del lavoro, di sicurezza, di formazione e molto altro, che spesso non conosce nemmeno l’artigiano) conta oggi diciassette sedi territoriali e 257 collaboratori. Tre in più di quanti fossero presenti al mio arrivo, inclusi i sei dirigenti in meno a cui ho ritenuto di poter rinunciare. Una buona macchina organizzativa, articolata e complessa, in grado di supportare quasi diecimila associati suddivisi in trentanove mestieri diversi, ognuno con le proprie problematiche, le proprie particolarità, le proprie esigenze. Una buona macchina organizzativa, peraltro sempre perfettibile come tutte le cose di questo mondo, i cui bilanci – nonostante l’Associazione non ne abbia alcuna obbligazione – sono stati resi pubblici dallo scrivente su queste stesse pagine, anno dopo anno. Malgrado l’opinione contraria di qualche ex-presidente, di qualche collaboratore, addirittura di qualche associato. Convinto come sono che “quando una cosa la sanno in due, non è più un segreto” e pertanto è meglio essere assolutamente chiari, diretti, trasparenti. Sempre. Così al 31 dicembre 2016 il consolidato registra un leggero aumento di ricavi (+1,5%) che vanno a 19.584.000 €, un leggero aumento di costi (+0,6%) a 18.833.000 €, un risultato ante-imposte di 837.000 €, imposte per 560.000 €, un utile netto di esercizio a 276.000 €. Con un costo di manodopera (+2,3%) a 11.012.000 € che incide per il 56,2% sui costi mentre desidero ricordare come l’occupazione femminile superi il 65% della forza-lavoro totale. Così la situazione patrimoniale, con capitale e riserve a 9.042.000 € ed immobili per un valore commerciale di 24.613.000 €. Ritengo sia un risultato molto positivo che si aggiunge a quelli, altrettanto positivi, conseguiti nei precedenti sette anni del mio mandato contraddistinto, peraltro, da una crisi iniziata già nel 2008 e dalle difficoltà note al lettore. Tuttavia, forse presuntuosamente, mi piace ricorrere alla frase di John Belushi “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”. Abbiamo sempre chiuso i bilanci in utile. Abbiamo assunto, formato, tutelato i nostri collaboratori senza mai ricorrere – a differenza di altre, analoghe strutture – ai contratti di solidarietà o alle riduzioni pilotate. Abbiamo consolidato la nostra presenza nei territori con le nuove sedi nelle Giudicarie e nell’Altogarda. Abbiamo posto al centro della scena politica ed economica l’Associazione che – piaccia o non piaccia, se ne condividano o non se ne condividano le posizioni, la si segua o non la si segua nelle scelte – è comunque diventata un riferimento tanto per la politica quanto per le altre categorie economiche provinciali. Poiché i bilanci non sono costituiti solo da numeri ordinati e da risultati in rosso o in nero ma anche, soprattutto, da note integrative allegate che parlano di forza acquisita, di spazi occupati, di come si è percepiti, di quali valori siano stati messi in campo, di quali siano le intenzioni, a quale livello siano credibilità ed autorevolezza. Ho sempre pensato che il bilancio tanto personale quanto d’impresa sia semplicemente una anticipazione di futuro. E ciò che vale per noi e per le imprese è valido anche per una associazione di categoria. Che ieri poteva essere solo e semplicemente un sindacato ma che oggi non può non essere un’impresa erogatrice di ottimi servizi – tra i quali, per l’appunto, c’è il fare sindacato – se vuole vivere anche domani. Per chiudere, i bilanci tengono. Ciò che sembra non tenere in questa Italia frastornata da troppe chiacchiere di una politica politicante, vuota ed inconcludente più ancora che dai terremoti e dai mancati post-terremoti sono i ponti, i cavalcavia, le infrastrutture.. insomma le opere pubbliche. Tra battaglie all’ultimo sangue sulla progettazione, appalti banditi e ribanditi, ricorsi e controricorsi in tribunale, general contractor votati a fare l’asso-pigliatutto, appaltatori d’assalto e senza scrupoli, subappaltatori disperati e senza domani, l’unica certezza è quella di una folle corsa al massimo ribasso. Per risparmiare sulle poche voci dove ciò è possibile: da una parte la qualità e, spesso, la quantità dei materiali utilizzati e, dall’altra, i controlli sul lavoro in corso e sul post finelavoro. Esempi non ne mancano nemmeno in Trentino, ma il problema si porrà con ancora maggior forza se partiranno gare quali, ad esempio, il NOT o legate alla realizzazione di infrastrutture logistiche e stradali. Che finiranno, come il miele, per attirare molte e fastidiose mosche. Eppure mi piacerebbe tornare a parlare di responsabilità e senso del dovere dei tanti onesti dirigenti pubblici, pagati come tali, ma messi in condizione di non fare nulla da una burocrazia paranoica, invadente, invasiva, autoreferenziale del tipo “ce lo chiede Bruxelles”. Eppure mi piacerebbe tornare a parlare di lavori affidati per la fiducia nell’impresa e non per l’amicizia con l’imprenditore. Eppure mi piacerebbe tornare a parlare di qualità sulla base, puntualmente confermata dall’esperienza, del “chi più spende, meno spende”. Mille anni lontana dai prezzi alla cinese. Mi fermo qui, è un tema troppo importante per esaurirlo in poche righe.