Panato, un nome simbolo della fotografia trentina

Senti Panato e pensi subito ad un simbolo della fotografia trentina. Allo storico Dino Panato, uomo d’altri tempi che con la sua macchina fotografica ha immortalato momenti storici non solo tra le mura regionali, ma anche nel contesto internazionale.

Ed oggi, l’eredità è stata raccolta dal figlio Daniele, in quella che è a tutti gli effetti una seconda generazione di foto-giornalisti, a pura trazione artigiana.

Ecco dunque la storia di Daniele Panato, fotografo storico, foto-giornalista e professionista a trecentosessanta gradi.

 

Panato e la fotografia: un amore di famiglia

Oggi Daniele ha 45 anni ed è un libero professionista, ma sempre con l’inclinazione al foto-giornalismo, settore che anche suo padre Dino ha frequentato per tantissimi anni.

Ha respirato aria di fotografia fin da giovanissimo, quando appena quindicenne andava a “giocare” sul campo insieme al papà, facendogli da assistente negli eventi più grossi. Ma mentre il fratello ha preferito scegliere un’altra strada, Daniele ha voluto proseguire sul sentiero già tracciato dell’artigianato famigliare.

Le tante esperienze lo hanno inevitabilmente avvicinato al mondo della fotografia, fino al momento in cui, all’inizio del nuovo millennio, ha iniziato a lavorare come dipendente nel negozio Panato fondato dal padre negli anni ’80, e poi rilevato qualche anno dopo (l’attività è stata chiusa recentemente, nel 2020).

Nato e cresciuto fotograficamente in un’età “di mezzo”, tra i primi scanner, le prime mail ed il passaggio dai rullini alle macchine digitali, oggi Daniele prosegue nelle sue collaborazioni, prima con il giornale Trentino ed ora con la testata l’Adige, ma svariando anche nei campi del wedding ed in quello delle fotografie storiche.

I Panato uniti anche dalla passione per lo sport

L’intervista

Daniele ha dunque deciso di raccontarci la sua storia e quella del suo amore verso la fotografia, partendo dal principio, e quindi dalle prime esperienze con il padre Dino, fino al giorno d’oggi in cui porta avanti tante attività diverse.

 

Daniele, partiamo dall’inizio: quando si sente il nome Panato il primo pensiero è per tuo padre, Dino, figura simbolo della fotografia trentina

Certamente, e se da un lato questa cosa mi riempie d’orgoglio, dall’altra è ovviamente una grande responsabilità: portando avanti una simile attività di famiglia, tutti si aspettano certe cose da te e dunque bisogna essere all’altezza. Ricordo ancora quando lavorava per il Trento Calcio e, gestendo il giornale della squadra tra articoli e fotografie, insieme a mia mamma passava le mattine ad impaginare le fotografie sul tavolo in soggiorno. Oppure quando, dopo che ho conseguito la maturità, mi ha portato con lui alle Olimpiadi di Atlanta 1996, come regalo. Per me è stata una persona incredibile, che ha saputo cavalcare l’onda delle nuove tecnologie ma senza buttarsi in qualcosa che non conosceva, capendo invece le tendenze del momento ed utilizzando gli strumenti giusti al momento giusto. Dopo l’apertura del negozio, nel 1981, il giornale Alto Adige poi divenuto Il Trentino, gli ha chiesto di lavorare per loro, e da lì è iniziata anche la sua carriera da foto-giornalista.

Dino Panato insieme al figlio Daniele, mentre gli insegna ad utilizzare gli strumenti del mestiere

Uno scatto storico: i due Panato immortalano il record di Michael Johnson ad Atlanta 1996

Ed ora, tu hai deciso di intraprendere la stessa strada: cosa significa essere un fotografo oggi?

Personalmente, ho sempre amato fotografare le persone, anche se nasco come fotografo storico. Mi sono poi plasmato ed evoluto a seconda delle necessità dettate dal tempo e dai cambiamenti del mondo del lavoro, che sono stati parecchi negli ultimi anni. Ricordo ancora quando, trasmettendo le foto da Atlanta nel 1996, spedivo le prime mail. Oggi è tutto informatizzato, ma continuo a preferire il rapporto con le persone, il contatto, la relazione. Il fotografi oggi stanno virando molto sul digitale, ma posso dire che, per fortuna, la mia esperienza mi ha permesso di saper utilizzare davvero tanti tipi di macchine e strumenti diversi. 

 

Non deve essere semplice però passare da un settore all’altro: dal giornalismo al wedding, ad esempio

Certamente, ma dipende molto come le persone sono abituate a vederti e cosa si aspettano da te. Ad esempio, ho clienti che pensano che io faccia solo lo sviluppo delle foto, altri che mi immaginano solo sul campo durante il lavoro di foto-giornalismo, altri ancora che mi credono solo un fotografo storico. In realtà passare da un settore all’altro non è facile, ma con gli anni si impara a fare tutto. Diciamo che, avendo vissuto la transizione del settore della fotografia, questo mi ha aiutato ad adattarmi alle situazioni senza però mai perdere le radici vere di questa mia grande passione. Infine, cambiano le emozioni e ciò che le diverse immagini riescono a trasmettere: in questo, il foto-giornalismo è il cuore pulsante di questo lavoro.

 

Quali consigli daresti ai giovani che oggi si approcciano a questo mondo?

Non posso negare che sia complesso, ma regala davvero tante soddisfazioni. Le scuole di formazione ed i corsi disponibili nella nostra realtà preparano davvero molto bene i ragazzi al mondo del lavoro, ma più di ogni altra cosa deve esserci passione. Se una persona ci crede ed ama questo lavoro, allora diventa bellissimo; poi se si ha occhio per i dettagli e si riesce a specializzarsi, si ottiene quel qualcosa in più che consente di avere ancora maggior successo. 

DATA DI PUBBLICAZIONE

06.09.2021

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REFERENTE

Andrea Paissan
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