Alla ricerca in internet dell’origine di Ferragosto mi sono trovato a leggere due diverse ed efficacidefinizioni. La prima, risalente al periodo romano. Dove feriae Augusti divenne tale proprioin omaggio all’imperatore che istituì la festività per generare -oltre al ritorno politicoancheun periodo di giusto riposo, una volta ultimati i più importanti lavori agricoli. La seconda,risalente al ventennio fascista. Dove la tradizione delle ferie lontano da casa ebbe originecon i treni popolari di Ferragosto, organizzati dal regime a prezzi ridottissimi, per permetterealle famiglie italiane di vedere e di vivere il mare, la montagna, le città d’arte. E, poichénei viaggi non era incluso il vitto, nacque così anche la collegata tradizione del pranzo alsacco. Fino qui, Wikipedia. Ma non mi dispiacerebbe aggiungere una terza descrizione che,mi sembra, si sia andata affermando negli ultimi decenni. Ferragosto è diventato soprattuttoil momento in cui ci si chiede che cosa accadrà tra due/tre settimane. Se le fabbriche chiuseper ferie riapriranno. Se ci sarà ancora il posto di lavoro (da imprenditore più o meno piccolo,da partita IVA, da dipendente) o se sarà solo cassa integrazione (da dipendente). Se cisarà da arrabbiarsi a fronte di un’ulteriore manovra fiscale, destinata a non risolvere nulla,ma necessaria a soddisfare gli appetiti tanto di una macchina pubblica autoreferenziale, pesante,vorace quanto di una Europa lontana, burocratica, nemica. Se ci si dovrà preparareall’ennesima tassa su qualcosa a caso.. quasi che il frutto del nostro lavoro, della nostra fatica,del nostro essere formica e non cicala, anziché un bene da tutelare sia, al contrario, unprivilegio da demolire. Se ci si dovrà rassegnare ad ascoltare la solita tiritera del politico diturno -troppo spesso vuoto di etica, di passione e di responsabilità ma pieno di sé, di privilegie di vitalizi- che chiede, a tutti noi, ancora sacrifici in nome di una luce che da moltianni, solo lui, intravvede in fondo al tunnel. Se ci si dovrà attendere l’ormai classico autunnocaldo con il governo diviso tra i molti annunci e il nulla prodotto, tra i programmi a lungascadenza e il piccolo cabotaggio di giornata, tra la politica del rigore e il rigore (nell’accezionedi “rigor mortis”) della politica.Per non entusiasmarmi troppo di questa Italia mi fermo qui ma, se guardo al nostro Trentino,non riesco a vedere molto di diverso. Con un governo provinciale, e la sua maggioranzabulgara, che di fatto non ha nessuna opposizione ma che fatica a concretizzare una qualunqueazione. Che, nelle dichiarazioni ufficiali, è coeso ma che in realtà si divide su ogni argomentodi una qualche rilevanza. Che ci mette sette mesi per non definire quell’autenticavergogna rappresentata dai vitalizi. Che, nei temi di politica economica, tende a ripeterequanto fatto negli anni scorsi, senza nessuna nuova idea da mettere in cantiere, a fronte diun mondo in continua evoluzione. Che ragiona sempre e soltanto nella logica delmedio/grande come se, al contrario, non fossero le piccole imprese di territorio -che non delocalizzano,tengono duro, rimangono in Trentino comunque- a creare comunità, occupazione,ricchezza. Versando le loro tasse non in qualche sperduto paradiso fiscale ma nellecasse di una provincia che, peraltro, fatica a mantenere una autonomia sempre più a rischio.Con ministri e deputati del governo nazionale -sulla carta amico- che, quando sono in Trentino,plaudono alla nostra capacità di autogoverno ma che, quando sono a Roma, lavoranoper la cancellazione delle autonomie. A partire dalla nostra, che conta su un’esigua rappresentanzaparlamentare, mentre ci si guarda bene dal toccare una disastrata Sicilia che, con isuoi deputati e senatori, può decidere la vita o la morte dello stesso governo. Con un presidentedella PAT impegnato più in politica estera (leggi Euregio, Alto Adige, Roma) che in politicainterna poiché sa bene che è opportuno evitare taluni temi e che, da sempre, fa più disastriil fuoco amico di quello avversario. Con il presidente Rossi che rappresenta, da unaparte e per così dire, l’azionista di minoranza PATT -quindi, senza troppi numeri- e dall’altra,orribile parola/concetto in Trentino, il cambiamento. A cui si oppone per prima quella macchinapubblica che, al contrario, dovrebbe adeguarsi alla sua guida e supportarlo in ogni iniziativa.Anche in questo Ferragosto, per quanto sopra, mi sono posto la domanda riportata nel titolo.Senza riuscire, peraltro, a darmi una risposta. E ciò mi preoccupa poiché, come diceva ilfilosofo Seneca, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Figurarsipoi, se il vento è contrario.