Una crescita equa e sostenibile passa dal ruolo delle donne

Le riflessioni dei Proff. Franch e Esposito

Quest’oggi, nella prima pagina del quotidiano L’Adige campeggiava un’interessante riflessione rispetto alla parità di genere ed alle conseguenti prospettive di sviluppo economico, a firma della Prof. ssa Mariangela Franch, dell’università di Trento, e del Prof. Gaetano Fausto Esposito, del Centro Studi Tagliacarne.

La lettera è la risposta al richiamo del Presidente Mattarella verso la centralità della questione di genere nei dibattiti ospitati all’appena concluso Festival dell’Economia 2021, che, secondo i due professori, potrebbe creare i presupposti perché venga finalmente riconosciuta l’importanza delle donne nei processi di sviluppo economico.

Assicurare pari dignità e pari opportunità di accesso al mercato del lavoro e alla possibilità di fare impresa alla componente femminile, sono i presupposti strutturali perché le donne diano il loro contributo innovativo allo sviluppo. -sostengono i due cattedratici.

E continuano sottolineando come, nonostante si parli da anni di imprenditoria femminile, fino ad oggi questo aspetto non abbia avuto come conseguenza l’applicazione di politiche attive volte a valorizzare le donne che fanno impresa. Anzi, la componente femminile è considerata ad oggi quasi come un “completamento” del concetto più generico di imprenditore. Ne sono dimostrazione le statistiche ufficiali, nelle quali l’imprenditoria femminile sembra relegata ad un ruolo secondario che viene affrontato più per la necessità di non attirare critiche, che con una reale convinzione.

L’imprenditoria femminile è una realtà quasi fumosa, poco nota e studiata e di solito considerata come un’entità a se stante rispetto alla questione della sotto -occupazione delle donne che in Italia registra valori davvero preoccupanti, pari al 48,2% delle donne.

Imprese femminili: perché sono importanti

Il Rapporto sull’ imprenditoria femminile di Unioncamere (un riferimento per l’ analisi del fenomeno) oggi le imprese a conduzione femminile sono poco più di un quinto del totale del totale delle imprese registrate. Le imprenditrici e le loro aziende sono più giovani dei loro omologhi maschili, sono attive principalmente  nell’ambito dei servizi, particolarmente colpito dalla crisi pandemica.

Si tratta di aziende con pochissimi dipendenti, spesso sono addirittura delle vere e proprie forme di auto-impiego, se consideriamo che le imprese femminili con un addetto sono il 62% contro il 48% di quelle maschili e le ditte individuali capitanate da donne sono il 63% contro il 49% di quelle maschili.

Interessante notare come fino a prima della crisi Covid 19, nascevano molte più imprese femminili che maschili: quasi i due terzi delle imprese femminili attualmente operative sono nate a partire dal 2000 e durante la crisi sono addirittura cresciute. Questo perché – la storia ce lo dimostra – in momenti di forte crisi, viene a galla una prerogativa tutta femminile: uno spiccatissimo istinto di sopravvivenza, .

Infatti, già durante la crisi del 2008, che aveva colpito in particolare i settori l’industria manifatturiera e generato disoccupazione per lo più maschile, è aumentato il numero di imprese femminili. La stessa dinamica è avvenuta nella recente crisi da Covid, durante la quale al sud, mentre il tasso di occupazione femminile diminuiva, quello di nuove imprese femminili cresceva.

Ecco perché, sostengono nella loro interessante lettera i professori, sarebbe fondamentale osservare le dinamiche imprenditoriali femminile unitamente a a quelle dell’ occupazione femminile: perché l’ economia è anche, oggi più che mai, donna.

Imprenditrici e crisi pandemica

Il Rapporto sull’ imprenditoria femminile rispetto all’attuale momento post Covid, fotografa una situazione particolarmente complessa, che possiamo riassumere in due punti:

  • oggi nascono meno imprese femminili rispetto a prima: le imprenditrici sono prudenti e stanno valutando cosa accadrà;
  • se le probabilità di sopravvivenza media delle imprese capitanate da donne è di gran lunga più bassa, tuttavia, quelle che superano le difficoltà, manifestano poi una maggiore capacità di crescita rispetto a quella delle altre imprese.

Sul medio termine, questa aziende danno un importante contributo in termini occupazionali e di auto -impiego, ma dimostrano soprattutto che è possibile fare impresa in modo diverso: più sostenibile, più orientato alla valorizzazione delle persone e all’ambiente. La Corporate Social Responsibility, insomma, per le imprenditrici è un qualcosa di concreto.

Il futuro dell’imprenditoria femminile

Le nuove imprenditrici hanno saputo mettere a frutto le competenze guadagnate con la chiusura del gender gap nella formazione universitaria e oggi, rispetto ai maschi, sono più digitalizzate e più pronte ad avviare start-up innovative. Il che si traduce in una situazione estremamente favorevole per lo sviluppo, grazie a una nuova generazione di imprese femminili su cui innestare capacità di sviluppo.

Ecco perché l’ Unione Europea nel Next Generation Eu e il nostro governo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevedono una forte spinta verso il raggiungimento della parità di genere e la riduzione del gender Gap.

Tuttavia, – sottolineano Franch e Esposito-  senza un’ adeguata politica di finanziamento e una capillare azione di animazione e di supporto sia a livello centrale che a livello locale, c’ è il rischio che queste potenzialità non possano realizzarsi, e per questo dovrà essere sempre più incisiva l’ azione dei Comitati per l’ imprenditoria femminile costituiti presso le Camere di commercio. Oltre ad una vera e propria azione di lobbying i comitati dovranno diventare un riferimento per il monitoraggio e il supporto delle imprese femminili, e insieme con gli altri attori politici ed economici, partecipare ad un patto di sviluppo per una forma di imprenditoria pronta a svolgere un ruolo importante per la crescita e l’occupazione nei territori.

 

DATA DI PUBBLICAZIONE

11.06.2021

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