Salari troppo bassi: il presidente De Zordo a Tv33
Il tema dei salari bassi è tornato al centro del dibattito pubblico, dopo che i sindacati hanno annunciato l’intenzione di aprire una nuova fase di contrattazione collettiva. Una mossa che riaccende i riflettori sul problema delle retribuzioni e sulle disuguaglianze territoriali, in una regione che oggi si colloca al 40° posto in Italia per livello medio dei salari, riflettendo le difficoltà di un sistema produttivo che fatica a premiare il lavoro e a trattenere competenze. Eppure, un segnale incoraggiante arriva dai dati diffusi dall’Osservatorio della nostra Associazione, all’indomani del dibattito televisivo:
Con favorevole sorpresa abbiamo rilevato come nel periodo giugno 2019 – giugno 2025 la retribuzione media dei dipendenti artigiani sia cresciuta di oltre il 21% – ha spiegato il presidente degli artigiani trentini, Andrea De Zordo –. Nello stesso periodo (giugno 2019 – giugno 2025) il tasso d’inflazione di Trento è cresciuto del 18%. Questi dati non ci possono che rendere soddisfatti del lavoro fatto in questi anni difficili e di costante incertezza. (Qui l’articolo completo uscito sul quotidiano Il T del 9 ottobre 2025)
Un segnale positivo in un quadro che si presenta complesso e nel quale si inserisce anche il Patto per la crescita delle imprese e le politiche salariali, firmato lo scorso luglio dalla Provincia di Trento, con l’obiettivo di porre rimedio alle criticità attraverso incentivi agli investimenti, misure di sostegno e politiche di sviluppo. Una sfida complessa, che richiede interventi mirati e una visione condivisa tra istituzioni, imprese e sindacati per trasformare gli interventi in un motore reale di sviluppo.
La questione è stata al centro della puntata di Trentinopiù, talk show settimanale di cronaca, politica e attualità – condotto da Paolo Mantovan – andata in onda l’8 ottobre su Tv33. Tra gli ospiti anche Andrea De Zordo, presidente dell’Associazione Artigiani Confartigianato Trentino e della Camera di Commercio di Trento, che si è confrontato sul tema insieme a Lia Grandi, presidente Smart Engineering e membro del Consiglio di Confindustria Trentino, Andrea Grosselli segretario Generale Cgil Trentino e Michele Andreaus, professore Ordinario di Economia Aziendale all’Università di Trento.
Il confronto si è aperto con l’intervento di Michele Andreaus, che ha tracciato un quadro generale del problema, ricordando come l’Italia sia l’unico Paese occidentale in cui, negli ultimi venticinque anni, i salari reali sono diminuiti.
Il Trentino, un tempo tra i territori con i redditi pro capite più elevati, ha progressivamente perso il traino della grande industria, vedendo affermarsi un tessuto produttivo composto soprattutto da piccole imprese e dal settore turistico. Un ambito a basso valore aggiunto, dove la leva competitiva resta il prezzo e la conseguenza diretta è una compressione delle retribuzioni. Andreaus ha aggiunto come, oltre agli aspetti strutturali, pesi anche un fattore culturale: mancherebbe infatti un autentico spirito imprenditivo, mentre tenderebbe ad affermarsi un atteggiamento assistenzialista. Da qui l’appello a “fare sistema”, evitando di contrapporre turismo e manifattura. Un esempio virtuoso, ha ricordato, è quello della Val di Fiemme, territorio che ha saputo valorizzare la collaborazione tra settori diversi, trasformandola in un motore di sviluppo condiviso.
A questa analisi si è collegato Andrea De Zordo, offrendo una lettura più ravvicinata della realtà economica provinciale.
Dalle analisi della Camera di Commercio – ha spiegato – emerge che il tessuto imprenditoriale è sano e l’economia tiene.
Il Trentino presenta una forte presenza di artigiani e di aziende individuali, dove la componente salariale resta contenuta. Una struttura economica frammentata, certo, ma che – ha osservato De Zordo – svolge anche una funzione sociale essenziale: senza queste piccole realtà, molte aree periferiche si troverebbero in una condizione di impoverimento. Proseguendo nella sua riflessione, De Zordo ha invitato a guardare al territorio con maggiore fiducia:
Tutta Italia – ha detto – invidia il Trentino, mentre spesso i trentini tendono a denigrare la propria realtà. La questione dei salari va affrontata nella sua interezza. Serve equilibrio. Bisogna mettere sul piatto anche tutti gli interventi di welfare che esistono in Trentino, che non vengono conteggiati. Dobbiamo trovare uno strumento che possa permettere alle aziende di pagare e riconoscere il giusto ai propri lavoratori senza essere svenati per l’aggravio ben noto di tasse e oneri aggiuntivi.
Le imprese locali, seppur di piccole dimensioni, si distinguono infatti per valore aggiunto e redditività superiori alla media nazionale.
Quello che mi preoccupa di più – ha aggiunto – è l’impoverimento numerico, l’età media superiore ai 50 anni, la mancanza del passaggio generazionale.«Serve equilibrio» Il presidente della Camera di commercio Andrea De Zordo, alla guida anche dell’Associazione degli artigiani del Trentino, si mostra cauto.
Sulle conseguenze concrete dei bassi salari è intervenuto Andrea Grosselli, richiamando la necessità di agire subito per invertire una tendenza ormai consolidata.
Salari bassi – ha spiegato – significa che un operaio, una commessa o un cameriere guadagnano in media 18.700 euro lordi all’anno, e per i giovani questo si traduce in difficoltà crescenti nel costruirsi una famiglia. In Trentino si contano circa 45.000 imprese, ma solo 32 superano i 250 dipendenti.
Un dato che conferma la forte frammentazione del sistema produttivo, spesso concentrato in settori a basso valore aggiunto.
Secondo Grosselli, il rischio è che la compressione dei salari prosegua per inerzia:
Dobbiamo invertire questa rotta – ha avvertito – perché agire oggi significa vedere i risultati tra cinque o dieci anni. Se non lo facciamo, tra dieci anni saremo ancora qui a porci le stesse domande.
Ad arricchire ulteriormente il dibattito è intevenuta Lia Grandi, che ha sottolineato come, se nel Nord-Est la manifattura occupa circa il 30% della forza lavoro, in Trentino la quota scende al 18,6%. Differenza che si riflette inevitabilmente anche sui livelli salariali.
Una crescita dimensionale delle aziende, ha evidenziato, potrebbe portare sicuramente dei benefici.
Se per il settore industriale, che Grandi rappresenta, è sicuramente più facile garantire stipendi più alti, i problemi però non mancano.
Il contratto Collettivo metalmeccanico di Confindustria – ha proseguito – è tra i più tutelanti. Nel biennio 2023-2024 gli aumenti salariali sono stati consistenti, generando un aumento del costo delle risorse che però non è stato riconosciuto dal mercato.
Un confronto che ha permesso di delineare un quadro chiaro della situazione attuale, mettendo in luce sfide e opportunità. Per affrontare le criticità emerse e valorizzare al meglio le potenzialità del territorio, serve un insieme coordinato di interventi strategici capaci di incidere davvero sulla produttività e sulla qualità del lavoro.
Quali, dunque, le possibili soluzioni?
Occorre incentivare politicamente gli investimenti, sostenendo le imprese che innovano i processi produttivi e riescono a svolgere le stesse attività in tempi più brevi, aumentando così produttività, redditività e salari. Allo stesso tempo, è fondamentale indirizzare con attenzione le risorse, evitando spese non produttive e concentrando gli sforzi su settori ad alto potenziale di crescita.
Un ruolo centrale va riconosciuto anche alle persone, investendo nel loro sviluppo professionale attraverso una formazione mirata su competenze specifiche, offrendo prospettive di carriera e percorsi di riqualificazione.
Infine, è necessario promuovere la meritocrazia, anche nella determinazione dei salari, supportando al contempo gli imprenditori nell’abbattimento dei costi diretti. Solo così sarà possibile “fare sistema”, costruendo reti di collaborazione tra imprese e rafforzando la competitività complessiva del territorio.